“Nel mondo 3,3 miliardi di persone vivono in Paesi costretti a pagare più soldi per interessi sul debito che per istruzione e sanità. Il Sud del mondo ha pagato il conto più salato delle crisi”. Così denuncia un Rapporto Unctad, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, riportato da Asianews.
Venticinque anni dopo la campagna del Duemila, papa Francesco ha rilanciato in occasione del Giubileo l’appello che fu già di Giovanni Paolo II a condonare i prestiti a chi non può restituirli. Perché ora Francesco sente il bisogno di rilanciare questo tema?
Perché – soprattutto negli ultimi anni, per effetto della crisi globale innescata dalla pandemia e aggravata dalle ripercussioni del conflitto in Ucraina – in tanti Paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia la questione del debito pubblico è riesplosa in maniera molto dura. “Ci troviamo di fronte a una crisi che genera miseria e angoscia, privando milioni di persone della possibilità di un futuro dignitoso – dice Papa Francesco, dando loro voce -. Nessun governo può esigere moralmente che il suo popolo soffra di privazioni incompatibili con la dignità umana”.
Analizzando le vicende degli ultimi anni, emerge con chiarezza che il conto delle ripetute crisi che dalla pandemia in poi tutti abbiamo vissuto è stato pagato in maniera molto più salata dai Paesi poveri. “Quella del debito è una crisi nascosta – spiega Giovanni Valensisi, economista italiano dell’Unctad che è tra i curatori del rapporto -. Nel quadro complessivo le cifre che coinvolgono i Paesi in via di sviluppo sembrerebbero piccole. Ma se si guarda a che cosa provocano nelle loro società, l’impatto è enorme”.
Oltre 3,3 miliardi di persone in Africa, America Latina e in Asia, per esempio, oggi vivono in Paesi che sono costretti a spendere più soldi per ripagare gli interessi sui debiti da loro contratti che per finanziare la sanità o l’istruzione.
Dietro l’appello di Papa Francesco a riportare sotto i riflettori il tema del debito in occasione di questo Giubileo, c’è però la consapevolezza che oggi condonarne quote importanti è un’operazione più complessa rispetto a 25 anni fa. Perché il più ampio coinvolgimento di investitori privati moltiplica gli interlocutori con i quali occorrerà negoziare questo atto di giustizia. È il motivo per cui il Pontefice ha esortato anche a compiere un passo in più: immaginare “una nuova architettura finanziaria internazionale, che sia audace e creativa”. Per far sì che il peso delle crisi di domani non finisca di nuovo per scaricarsi sulle spalle dei poveri.
Sul tavolo alcune idee esistono: “Un primo passo – spiega Valensisi – sarebbe affrontare il tema della rappresentatività: coinvolgere davvero e in maniera significativa i Paesi in via di sviluppo ai tavoli in cui vengono prese le decisioni. Ma si ragiona anche su meccanismi per affrontare il problema dei costi eccessivi del debito: un’ipotesi è potenziare le Banche multilaterali e regionali di sviluppo, sia in termini di capitalizzazione e di conseguente capacità di prestito, sia facendo in modo che siano loro ad ammortizzare parte dei rischi, emettendo una quota dei prestiti in valute locali. Soprattutto, però, occorre far crescere una sensibilità finanziaria nell’erogare crediti che privilegino nei Paesi poveri progetti che creano sviluppo a lungo termine”. Esempi di un percorso possibile. Perché – come nell’idea biblica del Giubileo – si possa ripartire davvero tutti insieme.
di Giorgio Bernardelli, Asianews