Oggi, 24 settembre 2023, è la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Le Suore della Carità collaborano con il Centro Astalli, sede italiana del Jesuit Refugee Service.
Nel contesto delle migrazioni globali e delle crisi umanitarie, la carità emerge come una forza resiliente e solidale. Il carisma di Giovanna Antida prende forma concreta all’interno di Casa Generalizia, che da dieci anni accoglie una comunità di ospitalità del Centro Astalli.
Questo servizio, ideato nel 2014, offre la disponibilità di alloggio a 3 persone. La permanenza accompagna le donne accolte dalla loro semi-autonomia all’autonomia completa.
Suor Maria Chiara M. – Programmare un futuro di integrazione e autonomia
È lei a seguire questo il progetto da circa un anno. Le persone che vi sono transitate hanno provenienze disparate: dalla Colombia al Senegal, dalla Siria alla Costa d’Avorio. Parlando del servizio con il Centro Astalli, suor Maria Chiara ci ricorda che non si tratta di “un’accoglienza assistenzialistica, ma pensata per far sentire le persone tali e non numeri, come ci vengono presentati troppo spesso. Dietro ogni una persona, infatti, ci sono problematiche e sofferenze non indifferenti”.
Il voto di servizio ai poveri diviene chiave di lettura del suo servizio, “nell’ascolto delle fatiche che queste persone, anche se molto giovani, portano numerose. Si tratta sia di fatiche passate, sia attuali e legate all’accoglienza, poiché l’integrazione non è sempre facile. Questo essere stranieri è una fragilità che sentono molto forte, non tanto perché lo pensino, ma perché dall’esterno capita che glielo facciano percepire”. Al contrario, “le persone, proprio perché tali, devono capire che hanno la possibilità di attivarsi per collaborare pienamente alla programmazione della loro vita futura”, principalmente, sottolinea suor Maria Chiara, attraverso l’istruzione e la formazione.
Suor Paola A. – Il binario dell’accoglienza, con destinazione l’autonomia
“Periferia nord di Roma, un edificio a tre piani messo a disposizione dalle Ferrovie, 32 unità abitative, quattro cucine. Poi sale comuni, scuola d’italiano, ludoteca, campo da calcetto, giardino, 19 nazionalità, età compresa fra i 4 mesi e i 64 anni. Di fronte. molti treni in manutenzione, alle spalle l’Alta Velocità. Ecco il Centro Pedro Arrupe, multi struttura del Centro Astalli, della quale sono la coordinatrice da dieci anni.
L’obiettivo della Comunità per famiglie rifugiate, della Casa famiglia per minori stranieri non accompagnati e della Casa per mamme sole con bambini, tutti in temporanea sosta presso “il binario” del Pedro Arrupe, è restituire a ciascuno gli strumenti e il coraggio di riprendere in mano la propria vita e di cominciare un futuro nuovo.
Ogni giorno, gli operatori e i volontari si affiancano a vite complesse, provando ad accompagnare, rincuorare, sostenere. C’è da cercare casa, un lavoro, da inserire i bimbi a scuola, regolarizzare i documenti, aiutare ciascuno a costruirsi una propria rete di contatti con le realtà lavorative, scolastiche, sanitarie, religiose, ricreative…esistenti in città.
All’interno della cappella di via degli Astalli, c’è un grande mosaico raffigurante la Fuga in Egitto: è quello il mio punto di riferimento evangelico. La Famiglia di esuli che duemila anni fa scappava in Egitto è l’emblema di ogni famiglia che vive il dramma dell’esilio forzato e della persecuzione. E ciascuno dei loro figli ha il volto del Bambino di Betlemme”.
Padre Camillo Ripamonti – Persone, non numeri
Il Presidente del Centro Astalli, ricorda come Papa Francesco operi per un cambio culturale, sintetizzabile nel desiderio di uscire da una considerazione dei migranti e dei rifugiati come problema, focalizzandosi invece sulla loro realtà concreta di persone: “bisogna tornare a riscoprire la storia di queste persone, i luoghi dai quali sono partite, le loro competenze, perché diventino loro stessi protagonisti all’interno dei contesti di rinascita. Bisogna pensare ad una prospettiva di futuro condiviso”.
In merito al messaggio scelto per questa giornata, padre Camillo Ripamonti spiega come ogni persona abbia il diritto di restare nella propria terra, senza però sacrificare la propria dignità. Tale diritto “ha un senso se una persona può vivere nella giustizia e nell’uguaglianza all’interno del suo paese, se può mettere a frutto quelle che sono le sue potenzialità e può mettere a fuoco quelli che sono i suoi diritti e i suoi doveri. Fintanto che non è possibile garantire questo, bisogna garantire con altrettanta forza il diritto di poter lasciare il proprio paese e di poterlo fare con sicurezza, in cerca di felicità, di giustizia, di uguaglianza, che sono poi, per parlare dell’Italia, quello che viene sancito dalla nostra Costituzione”.
Uno dei principali rischi nell’affrontare questa sfida sociale è quello dell’abitudine, che “può far abbassare il livello di umanità. L’incontro con le persone, se autentico, riporta nell’agone della società, stimola la politica e le politiche dei paesi nei quali queste persone arrivano ad essere più attente a coloro che sono ai margini. Se una società civile è attenta alle persone più in difficoltà, non smarrisce la sua umanità, altrimenti si abbassa l’asticella, si dimentica un impegno civile che deve essere per i diritti, ma per i diritti di tutti”.