Borgosesia, casa di accoglienza Giovanna Antida, nata per accogliere le donne vittime di violenza, o in grave condizione di fragilità, sole o con figli: in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e dei 10 anni di attività della Casa, è stato organizzato un incontro di sensibilizzazione dal titolo: “La violenza contro le donne: un dramma quotidiano”.
La storia della Casa di accoglienza
Nel 2008 – 2009 alcuni volontari della Caritas parrocchiale, con le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret avviarono un’indagine sul territorio per valutare le necessità più impellenti dal punto di vista sociale, individuando i bisogni e le nuove “povertà”.
Nel 2010 seguì un’opera capillare di informazione dell’opinione pubblica, fu ufficialmente costituita l’Associazione Agape e si cominciò a cercare un immobile per ospitare la Casa. Fu il Comune di Borgosesia a mettere a disposizione uno stabile di proprietà comunale.
Il 25 febbraio 2014 la Casa fu inaugurata come Casa di prima accoglienza, pronto soccorso sociale per donne con bambini, che prevedeva l’ospitalità per tre mesi, prolungabile fino a sei mesi.
Negli anni, si è passati a Casa di accoglienza comunitaria di donne sole o con bambini, perché i tempi per costruire un percorso di vita che preveda il reinserimento e il raggiungimento di una nuova autonomia sociale e lavorativa, sono molto più lunghi di sei mesi.
La struttura ha una superficie di 650 mq e dispone di otto camere spaziose, dotate di servizi privati, e di ampi spazi comuni.
Dall’anno dell’inaugurazione la Casa ha accolto 173 ospiti, di cui 74 minori, di diversa nazionalità. In stretta sinergia con l’équipe educativa operano ventitré volontari.
Le richieste di aiuto sono in aumento
Negli ultimi mesi si è assistito a un aumento delle richieste di inserimento, come ha confermato la Direttrice della Casa, Manuela Cuccuru, e talvolta è stato necessario rifiutare l’inserimento, perché la Casa aveva ormai raggiunto il massimo della capienza: “Molte delle donne ospitate provengono dal nord Italia, ma non solo. C’è stata anche una evoluzione del tipo di accoglienza: dalle donne vittime della tratta si è passati alle donne vittime di violenza intra-familiare, e, per la quasi totalità, si tratta di donne con bambini: tante donne decidono di denunciare proprio per i figli”.
La nota giornalista Livia Zancaner, del Sole 24ore, coordinatrice dell’evento, ha osservato che nonostante la legislazione italiana sia molto avanti su questi temi, i numeri circoscrivono una realtà drammatica “Ogni tre giorni una donna viene uccisa, più di seimila donne a oggi, hanno subito violenze sessuali, con una media di sedici al giorno, e di queste un terzo sono minorenni. La violenza contro le donne riguarda tutti e tutte”.
Le Forze dell’Ordine, in Italia, ricevono una formazione specifica e hanno fatto anch’essi notare che c’è stata un’evoluzione nelle richieste, con un abbassamento dell’età delle donne che chiedono aiuto: “Raramente le donne vengono in Caserma per denunciare, ma si interviene al culmine delle violenze che spesso coinvolgono anche i figli come violenza assistita e allora si deve cercare di farle parlare, ascoltare senza interrompere, lasciando placare le emozioni”.
Scrivere della violenza in maniera corretta e non sensazionalistica, dovrebbe essere obbligatorio, mentre purtroppo, come ha fatto notare la giornalista ed insegnante Chiara Ronzani, si leggono ancora articoli dai titoli fuorvianti: “Ci sono parole da non usare e questo i giornalisti dovrebbero saperlo, ma soprattutto attenersi: scrivere male fa male alle donne e soprattutto la violenza non è mai amore”. Chiara ha evidenziato come la donna uccisa non abbia più voce: le parole della vittima non potranno mai essere ascoltate. Un altro errore in cui purtroppo talvolta incorrono i giornali è la pubblicazione di immagini stereotipate, spesso confezionate ad hoc, che non aggiungono nulla, ma mostrano la donna debole e vittima, senza invece presentare il maltrattante: “Anche questo contribuisce alle narrazioni distorte della violenza”.