Dalla voce delle nostre suore, costrette a lasciare il Sudan:

“Alle sette meno venti, andando a scuola, la strada era, come ogni sabato, senza folla di scuolabus e mezzi di trasporto. Prima ancora che potessimo finire la routine mattutina, scoppiarono i combattimenti. Il rumore degli spari si diffuse rapidamente. Gli aerei da combattimento volavano sopra le nostre teste, il rumore delle esplosioni e degli spari riecheggiava intorno a noi, nuvole nere e fumo riempivano il cielo. In un batter d’occhio, ci ritrovammo in una zona horror: era terrificante e l’inizio di un lungo incubo. Il peggiore era “l’ignoto”. Con il sopraggiungere della notte, si levò il rumore delle armi pesanti, si alzarono in volo i jet degli aerei da guerra e calò il silenzio della morte. Ci ritrovammo dispersi, e io rimasi tagliata fuori dalla comunità per due giorni”.

Così si apre la drammatica testimonianza delle Suore della Carità costrette a lasciare precipitosamente la Comboni School a Izba, una vasta zona popolare alla periferia di Khartoum North, ai bordi della zona industriale, da più di un anno ormai devastata da una guerra che non interessa a nessuno.

Una guerra che contrappone l’esercito e i miliziani, dove non si vince e non si perde, si continua solo a morire.

“Sola, sdraiata a terra a scuola, ho detto -è la fine, non passerà molto tempo prima che una bomba o addirittura un aereo ci cada sulla testa, distruggendo tutto e mettendoci tra le sue fiamme. Se la morte non arriva qui stanotte, siamo comunque vicino alla scuola, e a pochi metri di distanza ci sono i cadaveri nelle strade. Se la situazione terrificante continua, senza dubbio le fiamme mortali ci faranno presto visita-“.

“Pensavo: -senza acqua e senza elettricità, la gente non ha ancora ricevuto lo stipendio. Mancano beni e carburante, i mercati sono stati distrutti, i negozi sono stati bruciati, le industrie di produzione alimentare, le banche e altri stabilimenti sono stati saccheggiati. I medici sono stati uccisi, la maggior parte degli ospedali sono stati conquistati e anche le farmacie sono state saccheggiate-. Nel frattempo i corpi giacevano sulle strade e nelle case senza possibilità di sepoltura. Due dei nostri alunni furono uccisi, le case sono bruciate e si diffusero notizie di abusi sessuali. Ritrovarci, uniche tre donne nel quartiere, fu ancora più terrificante”.

Siamo state costrette ad evacuare, lasciando tutto: le persone che amavamo e servivamo con affetto, i bambini in cui vedevamo un granello di futuro luminoso, e i nostri fratelli e sorelle fedeli, assetati della parola di Dio, la nostra casa, la nostra storia, la nostra identità, noi stesse. Siamo partite senza salutare, con il cuore spezzato”.

Le nostre suore sono state costrette a condividere la straziante esperienza di dover abbandonare il Paese insieme a molti altri: “tutti stanno fuggendo dal Sudan” riferisce un missionario a Vatican News il 19 settembre 2024. “Fuggono gli uomini, inorriditi da una guerra tra esercito e milizie che porta solo devastazione e morte. Fuggono le donne, impazzite per l’urgenza di portare in salvo i propri bambini. Fuggono i musulmani, maggioranza religiosa stanca di vedere assaltate le proprie case, i propri negozi, sgozzati o fucilati a sangue freddo i propri cari. Fuggono anche i cattolici che prima dello scoppio del conflitto erano una piccolissima minoranza di un milione ma oggi si sono ridotti a malapena alla metà. Cercano di scappare dove possono, in Sud Sudan, in Ciad, in Egitto”.

“Le armi sono arrivate nelle mani dei bambini e la fame è diventato il secondo nemico, spingendo alcuni genitori e i loro figli a saccheggiare le case in cerca di cibo”.

Suor Luna continua: “Queste sono alcune delle mie esperienze nell’arco di quindici giorni. Che dire di coloro che stanno vivendo questa esperienza ancora oggi? Nessuna sicurezza, nessuna assistenza medica. Una delle nostre studentesse è stata violentata ed è morta, tre sono state uccise da una bomba, una è stata violentata ed è morta durante il parto, aveva solo 16 anni. Nonostante tutto questo, non dimentichiamo la presenza di Dio in mezzo a noi. Ogni giorno mi chiedevo: -Cosa succederà ancora oggi? Sarà il nostro turno?-. Siamo cadute in una trappola, ma la trappola si è spezzata e siamo sopravvissute. E credo che il Signore guarirà e porterà la pace”.

Testimonianza ricevuta da suor Luna

in occasione della Giornata internazionale della pace, 21 settembre 2024.